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Sicurezza Alimentare

Ecco perché ridurre il consumo di plastica potrebbe influire positivamente anche sulla nostra alimentazione

microplastiche

La lotta alla plastica monouso è un obiettivo oramai condiviso a livello internazionale. Basti pensare che dal 14 gennaio 2022 è finalmente entrata in vigore la direttiva europea antiplastica Sup (single use plastic), con lo scopo di dimezzare i rifiuti in plastica negli oceani e di ridurre del 30% le microplastiche. Tuttavia, nonostante l’impegno normativo, l’inquinamento da plastica è un problema che riguarda tutto il mondo, con delle conseguenze che si ripercuotono anche sulla nostra alimentazione. Non solo una questione ambientale, quindi, ma anche di sicurezza alimentare. Vediamo perché. 

Cosa sono le microplastiche e come arrivano sulle nostre tavole 

Secondo la definizione dell’EFSA (European Food Safety Authority), le microplastiche sono «particelle di dimensioni comprese tra 0,1 e 5 000 micrometri (µm), o 5 millimetri. Le nanoplastiche misurano da 0,001 a 0,1 µm (ossia da 1 a 100 nanometri)». Sono pressocché onnipresenti nei nostri ecosistemi a causa della dispersione nell’ambiente, in particolare negli oceani, dei rifiuti in plastica, i quali si frammentano gradualmente in particelle più piccole, che diventano per l’appunto microplastiche e talvolta persino nanoplastiche. 

Ad oggi, non esistono dati sulla presenza di nanoplastiche negli alimenti e nelle bevande, ma diversi laboratori, fra cui anche il Laboratorio del Gruppo Maurizi, hanno effettuato ricerche e studi sull’effettiva contaminazione da microplastiche nel nostro cibo.  

Pesce, frutta e verdura contaminati: quali sono i rischi reali per la nostra salute 

Gli alimenti maggiormente sottoposti al rischio contaminazione, a causa dell’inquinamento degli oceani, sono ovviamente quelli provenienti dall’ambiente marino. 

Secondo lo studio Presence of microplastics and nanoplastics in food, with particular focus on seafood a cura di CONTAM dell’EFSA, le concentrazioni più elevate di microplastiche si trovano nello stomaco e nell’intestino dei pesci. Dal momento che generalmente prima di essere consumati vengono eviscerati, si può dedurre che non costituiscano un pericolo per la nostra salute. Nel caso dei crostacei e dei molluschi bivalvi, come le ostriche e le cozze, il cui tratto intestinale viene consumato, pare altamente improbabile che le quantità rilevate possano causare conseguenze preoccupanti alla nostra salute. 

È stato invece il Laboratorio di Igiene ambientale e degli alimenti dell’Università di Catania in collaborazione con il Laboratoire de Biochimie et Toxicologie Environnementale di Sousse in Tunisia a indagare per la prima volta la presenza delle microplastiche nella frutta e nella verdura. Dallo studio è emerso che le mele costituiscono i campioni di frutta più contaminati, mentre per gli ortaggi lo sono le carote; al contrario, il livello più basso di microplastiche è stato rilevato nei campioni di lattuga. Si tratta, di fatto, del primo studio che quantifica l’esposizione a microplastiche inferiori ai 10 microns della popolazione generale mediante l’ingestione di tali alimenti. Non sono tuttavia presenti prove di rischio per consumatori e animali: la comunità scientifica è infatti in attesa di nuovi dati scientifici riguardati i possibili effetti delle micro e nanoplastiche sulla salute a seguito del loro ingresso nella catena alimentare. 

Una spesa più consapevole e più sostenibile per la salute nostra e del pianeta 

La presenza di microplastiche negli alimenti costituisce, al momento, un campanello d’allarme più per il benessere ambientale che per la nostra salute. Se è vero che i risultati degli studi sin ora pubblicati non sono tali da far temere per la condizione umana, è altrettanto vero che il fatto che la plastica sia riuscita ad arrivare – seppur in maniera minima – sulle nostre tavole dovrebbe portarci ad attuare delle buone pratiche per far sì che l’inquinamento ambientale cali drasticamente, di modo che, un domani, i dati degli studi non virino verso conclusioni più preoccupanti. 

È stato il WWF a commissionare all’Università australiana di Newcastle l’analisi No Plastic in Nature: Assessing Plastic Ingestion from Nature to People, per dimostrare che «la plastica non solo inquina i nostri oceani e corsi d’acqua e uccide la vita marina, ma è in tutti noi e non possiamo evitare di consumarla».  

Come consumatori attenti e consapevoli, possiamo adeguare i nostri comportamenti quotidiani nel rispetto dell’ambiente, in modo tale da far sparire gradualmente le microplastiche dai nostri alimenti, prima che queste diventino un vero e proprio problema di sicurezza alimentare. 

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