Quando parliamo di prosciutto, crudo o cotto che sia, siamo di fronte a una delle eccellenze della gastronomia italiana. I processi di lavorazione che si nascondono dietro a questo alimento amato da adulti e bambini seguono un rigido disciplinare che è garanzia di qualità. Vediamo insieme come funziona.
Come si produce il prosciutto crudo
La produzione del prosciutto crudo segue ancora antiche tecniche artigianali, che avvengono principalmente a mano.
Dopo una iniziale selezione della materia prima e una successiva rifilatura, con la quale le cosce suine vengono disossate e liberate del grasso in eccesso e della cotenna, la lavorazione può cominciare con una fase a secco, durante la quale la coscia di suino viene massaggiata con il sale e lasciata poi riposare; questo permette alla carne di essiccare naturalmente, perdendo acqua e peso.
A seguito della salagione e terminato il periodo di riposo, la coscia viene lavata, spazzolata e asciugata a una temperatura inferiore ai 15°C. È a questo punto che comincia la fase di stagionatura, un procedimento molto antico, che può durare da 8 a 24 mesi in ambienti a temperatura costante e controllata.
La stagionatura è forse la fase più importante della lavorazione del prosciutto, perché permette alla coscia di suino di asciugare e acquisire tutte le proprietà organolettiche che conferiscono al prodotto il suo tipico gustoso sapore. Successivamente, il prosciutto è pronto per le operazioni di sugnatura, ovvero per l’applicazione, sempre manuale, di un impasto di grasso di suino, sale e pepe: tale processo fa sì che il prosciutto non si secchi troppo rapidamente, ma che anzi mantenga la sua giusta morbidezza. Grazie a questo procedimento, il prodotto conserva le proprie caratteristiche naturalmente, senza alcuna aggiunta di conservanti.
L’ultimo fondamentale passaggio cui il prosciutto è sottoposto è la saggiatura, vale a dire un controllo accurato del prodotto finito, per valutare la sua idoneità alla vendita e al consumo. La verifica avviene al termine dei 18-24 mesi di stagionatura, infilando un ago d’osso in alcuni punti del prosciutto e procedendo a un esame olfattivo: questo è indispensabile per assicurarsi che all’interno non si siano verificati processi di putrefazione non visibili dall’esterno. Superato l’esame olfattivo e visivo, il prosciutto è pronto per le tavole dei consumatori.
Come si produce il prosciutto cotto
Il prosciutto cotto è il risultato di un processo di lavorazione lungo che, rispetto al crudo, prevede anche un passaggio di cottura.
Come per il crudo, assistiamo anche per il prosciutto cotto alle fasi di rifilatura e salagione; quest’ultima viene attuata utilizzando una salamoia a base di una miscela di sostanze quali acqua, sale, spezie e aromi, che può essere o iniettata all’interno della carne con una siringa, oppure lasciando le cosce in immersione per 7 o 10 giorni.
Segue quindi la zangolatura, passaggio fondamentale per la distribuzione omogenea di sale e aromi: si tratta di un massaggio effettuato a mano sulle cosce di suino, che permette alla salamoia di penetrare in profondità e di ammorbidire notevolmente la carne. A questo punto, la carne viene lasciata a riposo per almeno 24 ore in modo tale che si possa stabilizzare, riponendola in appositi stampi di alluminio che conferiscono alla coscia la tradizionale forma del prosciutto cotto.
Arriviamo così alla cottura delle cosce: è un procedimento affinato nel corso dei secoli e che si tramanda come da tradizione di generazione in generazione. La cottura avviene al vapore all’interno di appositi forni: si tratta di una cottura lenta che dura circa 24 ore e che può arrivare fino a una temperatura di 70°C, pur mantenendo un tasso di umidità costante, tale da mantenere le proprietà organolettiche del prosciutto. È proprio alla fine della cottura e al termine della fase di raffreddamento che il prosciutto cotto acquisisce il suo riconoscibile colore rosa.
Le regole del prosciutto
Con il Decreto 149/2016 è stata aggiornata la disciplina della produzione e della vendita di taluni prodotti di salumeria, fra cui chiaramente il prosciutto crudo e il prosciutto cotto.
Il decreto, in concomitanza con la normativa comunitaria, sconsiglia l’uso dei nitrati (sodio e potassio), di nitriti o di entrambi per ottenere un effetto conservate. Qualora l’azienda produttrice scegliesse deliberatamente di farne impiegarli, deve segnalarne la presenza in etichetta quale additivo alimentare.
Specifica, poi, che la denominazione “prosciutto cotto” può essere utilizzata esclusivamente per i prodotti ottenuti da cosce di animali della specie suina. Inoltre, per entrambe le tipologie di prosciutto, il decreto prevede una temperatura di conservazione che non superi mai i 4°C, anche per i prodotti sfusi o preconfezionati.
Infine, per adeguare il decreto alle esigenze di mercato, vista l’importanza dello iodio nell’alimentazione umana, viene introdotta la possibilità di utilizzare anche il sale iodato durante la fase di salagione del prosciutto.
Ricordiamo in ogni caso che il prosciutto, come tutti i prodotti alimentari destinati al consumo umano, deve seguire le regole di etichettatura previste dalla normativa vigente, per fornire al consumatore informazioni chiare e trasparenti sull’alimento.
Il mio consiglio
Per riconoscere il prosciutto crudo e cotto di qualità dobbiamo prestare attenzione ad alcuni elementi che ci metteranno senz’altro sulla buona strada.
Il prosciutto crudo al taglio deve avere una consistenza compatta e un colore rosa piuttosto acceso. Inoltre, ricordiamo che è possibile riconoscere un buon prosciutto crudo dal suo profumo: infatti, in profumo più intenso indica un tempo di stagionatura più prolungato e quindi senz‘altro un prosciutto più saporito.
Per quanto riguarda il prosciutto cotto, invece, la legge ne prevede tre tipologie:
- Prosciutto cotto
- Prosciutto cotto scelto
- Prosciutto cotto di Alta Qualità
Questi si differenziano per il tasso di umidità, ossia quanta acqua contengono e per gli ingredienti che possono essere utilizzati. La legge è piuttosto scrupolosa e restrittiva per quanto riguarda il prosciutto cotto Alta Qualità, imponendo un limite più basso per il tasso di umidità, oltre a vietare l’uso di alcuni ingredienti come maltodestrine, proteine del latte, della soia usate soprattutto per favorire la ritenzione dell’acqua e la coesione tra le parti muscolari.

Sono una chimica con specializzazione post lauream alla De Montford University di Leicester (UK). Dal 2008, sono Chief Executive Officer del Gruppo Maurizi, con il quale mi occupo di sicurezza alimentare, ambientale e sul lavoro.