Le immagini degli oceani invasi dalla plastica sono terribili. Ogni anno 8 milioni di rifiuti plastici finiscono in mare e negli oceani, qui le plastiche si degradano alla luce del sole in piccolissime particelle che si muovono con le correnti minacciando la biodiversità della flora e della fauna. Le microplastiche sono state ritrovate in cima all’Everest e nell’Artico! Noi cerchiamo di modificare le nostre abitudini per aiutare l’ambiente: beviamo l’acqua in borraccia e cerchiamo di ridurre al minimo gli imballaggi e i rifiuti in plastica ma siamo bombardati da informazioni sull’ecosostenibilità dei prodotti, che spesso non sono veritiere.
I claim ambientali generici e non supportati da dati scientifici, c.d “green whashing” non dovrebbero essere apposte su sacchetti, imballaggi ed incarti e dobbiamo diffidare da claim come “ecologico”, “a ridotto impatto ambientale”, eco-friendly”, “green” quando mancano informazioni aggiuntive che certifichino che l’informazione è dimostrabile. Spesso acquistiamo alimenti confezionati in imballaggi “bio-based” pensando che sia la scelta migliore ma non è esattamente così: la bioplastica (bio-based) non è sempre biodegradabile e compostabile.
Con qualche piccolo trucco possiamo riconoscere i prodotti davvero sostenibili per l’ambiente.
Quanti tipi di plastica ci sono
La plastica tradizionale è di origine fossile, si ottiene da composti di carbonio e idrogeno chiamati “monomeri” derivanti da petrolio e metano.
Le plastiche a minor impatto ambientale sono prodotte in maniera diversa, ed in base al materiale si suddividono in:
- Bioplastiche (bio-based): sono interamente o parzialmente ricavati da biomassa vegetale; quindi, alcuni elementi di origine fossile (petrolio o carbone) sono stati sostituiti con componenti di origine naturale. Uno dei materiali conosciuti, con questa descrizione, è il PLA (acido polilattico). Questo è ottenuto dall’amido di mais, dal quale si ricava destrosio (zucchero) che, attraverso la fermentazione, diviene acido lattico. Successivamente, attraverso un processo di polimerizzazione, si tramuta in un poliestere (materiale plastico)
- Plastiche biodegradabili: il termine indica la degradazione di un materiale da parte di microrganismi come batteri o funghi. Questo accade quando la plastica si trova in un ambiente acquatico, gassoso o costituito da biomassa. La biodegradabilità non dipende dalle materie prime impiegate per la produzione della bioplastica, ma solo dalla struttura molecolare del prodotto finale. Per esempio, la struttura di alcuni materiali di origine vegetale, come il Bio-PET o il Bio-PE non ne permette la biodegradazione; al contrario il PBS (polimero semicristallino ottenuto tramite fermentazione batterica), di derivazione da materie prime non rinnovabili, può essere biodegradabile
- Plastiche compostabili: sono quelle la cui degradazione è pari al 90% in 6 mesi e in cui i residui possono, al massimo, essere di 2mm per lato; queste plastiche hanno una bassissima concentrazione di metalli pesanti. Le più diffuse sono le Mater-bi, a base di amido di mais. Altre vengono ottenute dal grano, dalla tapioca o dalle patate
In genere, le plastiche “tradizionali” come polipropilene, polietilene, cloruro di polivinile, poletilentereftalato e polistirene non sono biodegradabili. Esistono materiali a base bio che sono biodegradabili (Pla o acido polilattico) ed altri che, pur essendo bio-based, non lo sono (Bio-pet, Ptt, Bio-pe).
È difficile orientarsi, comunque presto arriverà l’etichetta ambientale, che conterrà codici e lettere che daranno informazioni sulla natura dei materiali.
Un piccolo passo
I polimeri che si biodegradano nel terreno hanno un impatto ridotto sull’ambiente perché resistono molto meno tempo rispetto a quelli tradizionali. Le bioplastiche, per quanto meno dannose per l’ambiente, non sono innocue del tutto e comunque attualmente non possono rimpiazzare la plastica derivata dal petrolio come per esempio il PET. Un forte aumento della produzione di bioplastiche, inoltre, aumenterebbe lo sfruttamento delle coltivazioni di cereali come il mais, che sono l’elemento base principale per la produzione di bioplastica. La Plastic Pollution Coalition, associazione internazionale che persegue l’obiettivo di ridurre l’inquinamento derivante dalla plastica, prevede che per soddisfare la crescente domanda globale di bioplastiche saranno necessari più di 1,3 milioni di ettari di terre coltivabili. Molti studiosi stanno quindi valutando metodi di produzione delle bioplastiche basati sull’impiego di scarti alimentare.
Come scegliere
La scelta migliore è la plastica compostabile. I loghi e le etichette che indicano la biodegradabilità e la compostabilità non sono sufficienti se non indicano anche la certificazione. Questi prodotti infatti sono realizzati secondo le procedure stabilite da norme tecniche dell’Ente Italiano di Normazione (UNI). Le norme stabiliscono i requisiti che gli imballaggi devono possedere per poter essere recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione e i materiali prodotti rispettando questi standard sono certificati. Puoi controllare quindi se sull’imballaggio è presente la seguente dicitura: “UNI EN 13432”. Diffida dalle indicazioni di biodegradabilità se manca questa informazione. I sacchetti dei supermercati, per esempio, sono biodegradabili e compostabili, e riportano infatti indicazioni sulla conformità alla norma UNI EN 13432. Controlla sempre, quando scegli un imballaggio, se è presente questo riferimento.